Piero, o il Pittore dell’Ineloquenza (III)

     Pier della Francesca ( Borgo San Sepolcro: 1416-1492  ), il pittore-matematico che inventò la <Prospettiva>. Questa è la terza parte dell’articolo dedicato a colui che Bernard Berenson chiamò il  <Pittore dell’Ineloquenza>. Per i precedenti, clicca qui.

Piero, o il Pittore dell'Ineloquenza (III) - Sigismondo Malatesta, ovvero del ritratto metafisico

Piero, o il Pittore dell’Ineloquenza (III) – Sigismondo Malatesta, ovvero del ritratto metafisico

    Dopo, essendo condotto a Roma, per papa Nicola Quinto lavorò in palazzo due storie, nelle camere di sopra, a concorrenza di Bramante da Milano, le quali forono similmente gettate per terra da papa Giulio Secondo, perché Raffaello da Urbino vi dipignesse la prigionia di S. Piero et il miracolo del corporale di Bolsena, insieme con alcune altre che aveva dipinto Bramantino, pittore eccellente de’ tempi suoi; e perché di costui non posso scrivere la vita né l’opere particulari per essere andate male, non mi parrà fatica, poi che viene a proposito, far memoria di costui, il quale nelle dette opere che furono gettate per terra, aveva fatto, secondo che ho sentito ragionare, alcune teste di naturale sì belle e sì ben condotte, che la sola parola mancava a dar loro la vita.

Piero, o il Pittore dell'Ineloquenza (III) - Prospettiva: La strada della felicità

Piero, o il Pittore dell’Ineloquenza (III) – Prospettiva: La strada della felicità

Delle quali teste ne sono assai venute in luce, perché Raffaello da Urbino le fece ritrare, per avere l’effigie di coloro che tutti furono gran personaggi, perché fra essi era Niccolò Fortebraccio, Carlo Settimo re di Francia, Antonio Colonna principe di Salerno, Francesco Carmignuola, Giovanni Vitellesco, Bessarione cardinale, Francesco Spinola, Battista da Canneto; i quali tutti ritratti furono dati al Giovio da Giulio Romano discepolo et erede di Raffaello da Urbino, e dal Giovio posti nel suo museo a Como.

Piero, o il Pittore dell'Ineloquenza (III) San Giuliano

Piero, o il Pittore dell’Ineloquenza (III) San Giuliano

In Milano, sopra la porta di S. Sepolcro, ho veduto un Cristo morto di mano del medesimo, fatto in iscorto; nel quale, ancora che tutta la pittura non sia più che un braccio d’altezza, si dimostra tutta la lunghezza dell’impossibile, fatta con facilità e con giudizio. Sono ancora di sua mano in detta città, in casa del marchesino Ostanesia, camere e loggie con molte cose lavorate da lui con pratica e grandissima forza negli scorti delle figure. E fuori di porta Versellina, vicino al castello, dipinse a certe stalle oggi rovinate e guaste, alcuni servidori che stregghiavano cavalli, fra i quali n’era uno tanto vivo e tanto ben fatto, che un altro cavallo tenendolo per vero, gli tirò molte coppie di calci. Ma tornando a Piero della Francesca, finita in Roma l’opera sua, se ne tornò al Borgo, essendo morta la madre; e nella Pieve fece a fresco dentro alla porta del mezzo, due Santi, che sono tenuti cosa bellissima.

Piero, o il Pittore dell'Ineloquenza (III) - Prospettiva di un Osservatore in primo piano, obliquo

Piero, o il Pittore dell’Ineloquenza (III) – Prospettiva di un Osservatore in primo piano, obliquo

Nel convento de’ frati di S. Agostino dipinse la tavola dell’altar maggiore, che fu cosa molto lodata, et in fresco lavorò una Nostra Donna della Misericordia in una Compagnia, o vero, come essi dicono, Confraternita; e nel Palazzo de’ Conservadori una Resurezzione di Cristo, la quale è tenuta dell’opere che sono in detta città e di tutte le sue, la migliore. Dipinse a S. Maria di Loreto, in compagnia di Domenico da Vinegia il principio d’un’opera nella volta della sagrestia; ma perché temendo di peste, la lasciarono imperfetta, ella fu poi finita da Luca da Cortona, discepolo di Piero, come si dirà al suo luogo.

Piero, o il Pittore dell'Ineloquenza (III) - La Città Ideale

Piero, o il Pittore dell’Ineloquenza (III) – La Città Ideale

Da Loreto venuto Piero in Arezzo, dipinse per Luigi Bacci cittadino aretino in S. Francesco la loro capella dell’altar maggiore, la volta della quale era già stata cominciata da Lorenzo di Bicci, nella quale opera sono storie della croce, da che i figliuoli d’Adamo, sotterrandolo, gli pongono sotto la lingua il seme dell’albero, di che poi nacque il detto legno; insino alla esaltazione di essa croce, fatta da Eraclio imperadore, il quale portandola in su la spalla a piedi e scalzo, entra con essa in Ierusalem; dove sono molto belle considerazioni e attitudini degne d’esser lodate, come, verbigrazia, gl’abiti delle donne della reina Saba, condotti con maniera dolce e nuova; molti ritratti di naturale antichi e vivissimi; un ordine di colonne corinzie divinamente misurate; un villano che, appoggiato con le mani in su la vanga, sta con tanta prontezza a udire parlare Santa Lena, mentre le tre croci si disotterrano, che non è possibile migliorarlo; il morto ancora è benissimo fatto, che al toccar della croce resuscita; e la letizia similmente di Santa Lena, con la maraviglia de’ circostanti che si inginocchiano ad adorare.

Piero, o il Pittore dell'Ineloquenza (III) - Sant'Antonio resuscita un bambino

Piero, o il Pittore dell’Ineloquenza (III) – Sant’Antonio resuscita un bambino

Ma sopra ogni altra considerazione e d’ingegno e d’arte, è lo avere dipinto la notte et un Angelo in iscorto che, venendo a capo all’ingiù a portare il segno della vittoria a Gostantino che dorme in un padiglione guardato da un cameriere e da alcuni armati oscurati dalle tenebre della notte, con la stessa luce sua illumina il padiglione, gl’armati e tutti i dintorni, con grandissima discrezione: per che Pietro fa conoscere in questa oscurità quanto importi imitare le cose vere, e lo andarle togliendo dal proprio. Il che avendo egli fatto benissimo, ha dato cagione ai moderni di seguitarlo e di venire a quel grado sommo, dove si veggiono ne’ tempi nostri le cose. In questa medesima storia espresse efficacemente in una battaglia la paura, l’animosità, la destrezza, la forza e tutti gli altri affetti che in coloro si possono considerare che combattono, e gl’accidenti parimente, con una strage quasi incredibile di feriti, di cascati e di morti. Ne’ quali, per avere Pietro contrafatto in fresco l’armi che lustrano, merita lode grandissima, non meno che per aver fatto nell’altra faccia, dove è la fuga e la sommersione di Massenzio, un gruppo di cavagli in iscorcio, così maravigliosamente condotti, che rispetto a que’ tempi si possono chiamare troppo begli e troppo eccellenti. Fece in questa medesima storia uno mezzo ignudo e mezzo vestito alla saracina, sopra un cavallo secco molto ben ritrovato di notomia, poco nota nell’età sua. Onde meritò per questa opera da Luigi Bacci, il quale insieme con Carlo et altri suoi fratelli e molti Aretini che fiorivano allora nelle lettere quivi intorno alla decolazione d’un re ritrasse, essere largamente premiato e di essere, sì come fu poi, sempre amato e reverito in quella città, la quale aveva l’opere sue tanto illustrata.

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