Leopardi: Discorso sul costume civile degli Italiani – Parte prima

2014-055 Giacomo Leopardi

Giacomo Leopardi

Presentazione:
“Discorso sul costume civile degli Italiani” è un’opera minore di Giacomo Leopardi, ma contiene un tesoro ineguagliabile di sapienza e di erudizione.
Qui “civile” è usato da Leopardi nel senso letterale di “appartenente alla civis”.

Giacomo Leopardi (1798-1837) è noto al grande pubblico come poeta lirico (“L’Infinito”; “ A Silvia”; “ Il sabato del villaggio”; “ Passero solitario”, sono tra le poesie più belle di tutta la letteratura italiana, e universale). Leopardi fu anche un uomo colto, erudito, e un sociologo moralista. Nel 1824, scrisse questo “Discorso sul costume civile degli Italiani” , nel quale esamina le caratteristiche socio-antropologiche (si direbbe oggi) della società italiana . L’opera non è lunga, perché consta di non più di una ventina di pagine, ma è di una incredibile e profetica perspicacia. Secondo Leopardi, i tratti salienti del carattere italiano sono:  1) la mancanza di uno Stato, e quindi di un centro politico-amministrativo; 2) da questa mancanza, deriva una scarsa coesione sociale, e da questa deriva, 3) l’individualismo; 4) dall’individualismo, deriva il cinismo, cioè l’atteggiamento di chi sa di doversi trovare sempre solo contro tutti, e quindi deve disprezzare tutto e tutti, per autodifesa. Presento qui la Prima Parte, a cui farò seguire altre due puntati, e cioè una Seconda (II), e una Terza (III) Parte.
Buona lettura!

2014-054 Adelaide Antici madre di Leopardi

Adelaide Antici, madre di Giacomo Leopardi

Giacomo Leopardi

Discorso sopra il costume civile degli Italiani

Tratto dall’edizione online del sito “Liber liber “; pagine 12-14 ; passim. Vai alla pagina

2014-054 Leopardi la biblioteca

La biblioteca paterna, in Recanati

“… gl’italiani di mondo, privi come sono di società, sentono più o meno ciascuno, ma tutti generalmente parlando, più degli stranieri, la vanità reale delle cose umane e della vita, e ne sono pienamente, più efficacemente e più praticamente persuasi, benché per ragione la conoscano, in generale, molto meno. Ed ecco che gl’italiani sono dunque nella pratica, e in parte eziandio nell’intelletto, molto più filosofi di qualunque filosofo straniero, poiché essi sono tanto più addomesticati, e per dir così convivono e sono immedesimati con quella opinione e cognizione che è la somma di tutta la filosofia, cioè la cognizione della vanità d’ogni cosa, e secondo questa cognizione, che in essi è piuttosto opinione o sentimento, sono al tutto e praticamente disposti assai più dell’altre nazioni. Or da ciò nasce ai costumi il maggior danno che mai si possa pensare. Come la disperazione, così né più né meno il disprezzo e l’intimo sentimento della vanità della vita sono i maggiori nemici del bene operare, e autori del male e della immoralità. Nasce da quelle disposizioni la indifferenza profonda, radicata ed efficacissima verso se stessi e verso gli altri, che è la maggior peste de’ costumi, de’ caratteri, e della morale. Non si può negare; la disposizione più ragionevole e più naturale che possa contrarre un uomo disingannato e ben istruito della realtà delle cose e degli uomini, senza però esser disperato né inclinato alle risoluzioni feroci, ma quieto e pacifico nel suo disinganno e nella sua cognizione, come son la più parte degli uomini ridotti in queste due ultime condizioni; la disposizione, dico, la più ragionevole e quella d’un pieno e continuo cinismo d’animo, di pensiero,di carattere, di costumi, d’opinione, di parole e d’azioni. Conosciuta ben a fondo e continuamente sentendo la vanità e la miseria della vita e la mala natura degli uomini, non volendo o non sapendo o non avendo coraggio, o anche col coraggio, non avendo forza di disperarsene, e di venire agli estremi contro la necessità e contro se stesso, e contro gli altri che sarebbero sempre ugualmente incorreggibili; volendo o dovendo pur vivere e rassegnarsi e cedere alla natura delle cose; – continuare in una vita che si disprezza, convivere e conversar con uomini che si conoscono per tristi e da nulla – il più savio partito è quello di ridere indistintamente e abitualmente d’ogni cosa e d’ognuno, incominciando da se medesimo. – Questo è certamente il più naturale e il più ragionevole.

Or gl’italiani generalmente parlando, e con quella diversità di proporzioni che bisogna presupporre nelle diverse classi e individui, trattandosi di una nazione intiera, si sono onninamente appigliati a questo partito. …Le classi superiori d’Italia sono le più ciniche di tutte le loro pari nelle altre nazioni. Il popolaccio italiano è il più cinico di tutti i popolacci. Quelli che credono superiore a tutte per cinismo la nazione francese, s’ingannano. Niuna vince né uguaglia in ciò l’italiana. Essa unisce la vivacità naturale (maggiore assai di quella de’ francesi)all’indifferenza acquisita verso ogni cosa e al poco riguardo verso gli altri cagionato dalla mancanza di società, che non li fa curar gran fatto della stima e de’ riguardi altrui: laddove la società francese influisce tanto, com’è noto, anche nel popolo, ch’esso è pieno di riguardi sì verso i propri individui, sì verso l’altre classi, quanto comporta la sua natura. Se gli stranieri non conoscono bene il modo di trattare degl’italiani, massime tra loro, questo viene appunto dalla mancanza di società in Italia, onde è difficile a un estero il farsi una precisa idea delle nostre maniere sociali ordinarie, mancandogli l’occasione d’esserne facilmente e sovente testimonio, perocchè d’altronde non siamo soliti a risparmiare i forestieri. Ma nel nostro proprio commercio, per le dette ragioni, il cinismo è tale che supera di gran lunga quello di tutti gli altri popoli, parlando proporzionatamente di ciascuna classe. Per tutto si ride, e questa è la principale occupazione delle conversazioni, ma gli altri popoli altrettanto e più filosofi di noi, ma con più vita, e d’altronde con più società, ridono piuttosto delle cose che degli uomini, piuttosto degli assenti che dei presenti, perché una società stretta non può durare tra uomini continuamente occupati a deridersi in faccia gli uni e gli altri, e darsi continui segni di scambievole disprezzo. In Italia il più del riso è sopra gli uomini e i presenti. La raillerie (canzonatura, ndr.) il persifflage (punzecchiatura, ndr.), cose sì poco proprie della buona conversazione altrove, occupano e formano tutto quel poco di vera conversazione che v’ha in Italia. Quest’è l’unico modo, l’unica arte di conversare che vi si conosca. Chi si distingue in essa è fra noi l’uomo di più mondo, e considerato per superiore agli altri nelle maniere e nella conversazione, quando altrove sarebbe considerato per il più insopportabile e il più alieno dal modo di conversare. Gl’Italiani posseggono l’arte di perseguitarsi scambievolmente e di se pousser à bout (spingersi al limite, ndr.) colle parole, più che alcun’altra nazione. Il persifflage degli altri è certamente molto più fino, il nostro ha spesso e per lo più del grossolano, ed è una specie di polissonnerie (licenza, ndr.), ma con tutto questo io compiangerei quello straniero che venisse a competenza e battaglia con un italiano in genere di raillerie. I colpi di questo, benché poco artificiosi, sono sicurissimi di sconcertare senza rimedio chiunque non è esercitato e avvezzo al nostro modo di combattere, e non sa combattere alla stessa guisa. Così un uomo perito della scherma è sovente sconcertato da un imperito, o uno schermitore riposato da un furioso e in istato di trasporto. Gl’Italiani non bisognosi passano il loro tempo a deridersi scambievolmente, a pungersi fino al sangue. Come altrove è il maggior pregio il rispettar gli altri, il risparmiare il loro amor proprio, senza di che non vi può aver società, il lusingarlo senza bassezza, il procurar che gli altri sieno contenti di voi, così in Italia la principale e la più necessaria dote di chi vuole conversare, è il mostrar colle parole e coi modi ogni sorta di disprezzo verso altrui, l’offendere quanto più si possa il loro amor proprio, il lasciarli più che sia possibile mal soddisfatti di se stessi e per conseguenza di voi. …. Ma in Italia … tutti sono armati e combattono contro ciascuno, è necessario che ciascuno presto o tardi si risolva e impari d’armarsi e combattere, altrimenti è oppresso dagli altri, essendo inerme e non difendendosi, in vece d’essere risparmiato. È anche necessario ch’egli impari ad offendere. Tutto ciò non si può conseguire prima che uno contragga un abito di disistima e disprezzo e indifferenza somma verso se stesso, perché non v’è cosa più nociva in questo modo di conversare che l’esser dilicato e sensibile sul proprio conto. Oltre che allora tutti i ridicoli piombano su di voi, si è sempre timido e incapace di offendere per paura di non soffrire altrettanto e provocarsi maggiormente gli altri, incapace di difendersi convenientemente perché la passione impedisce la libertà e la franchezza del pensare e dell’operare e l’aggiustatezza e disinvoltura delle difese. E basta che uno si mostri sensibile alle punture o abitualmente o attualmente perché gli altri più s’infervorino a pungerlo e annichilarlo. Oltre di ciò in qualunque modo il vedersi sempre in derisione per necessità produce una disistima di se stesso e dall’altra parte un’indifferenza a lungo andare sulla propria riputazione. La quale indifferenza chi non sa quanto noccia ai costumi? E certo che il principal fondamento della moralità di un individuo e di un popolo è la stima costante e profonda che esso fa di se stesso, la cura che ha di conservarsela (né si può conservarla vedendo che gli altri ti disprezzano), la gelosia, la delicatezza e sensibilità sul proprio onore. Un uomo senz’amor proprio, al contrario di quel che volgarmente si dice, è impossibile che sia giusto, onesto e virtuoso di carattere, d’inclinazioni, costumi e pensieri, se non d’azioni.…quel poco, dico, che v’ha in Italia di conversazione, essendo non altro che una pura e continua guerra senza tregua, senza trattati, e senza speranza di quartiere, benché questa guerra sia di parole e di modi e sopra cose di niuna sostanza, pure è manifesto quanto ella debba disunire e alienare gli animi di ciascuno da ciascuno, sempre offesi nel loro amor proprio, e quanto per conseguenza sia pestifera ai costumi divenendo come un esercizio per una parte, e per l’altra uno sprone dell’offendere altrui e della nimicizia verso gli altri, nelle quali cose precisamente consiste il male morale e la perversità dei costumi e la malvagità morale delle azioni e de’ caratteri. Ciascuno combattuto e offeso da ciascuno dee per necessità restringere e riconcentrare ogni suo affetto ed inclinazione verso se stesso, il che si chiama appunto egoismo, ed alienarle dagli altri, e rivolgerle contro di loro, il che si chiama misantropia. …Così che le conversazioni d’Italia sono un ginnasio dove colle offensioni delle parole e dei modi s’impara per una parte e si riceve stimolo dall’altra a far male a’ suoi simili co’ fatti. Nel che è riposto l’esizio (rovina, ndr) e l’infelicità sociale e nazionale…O tutti o gran parte degl’inconvenienti di sopra specificati12 hanno luogo proporzionatamente anche nelle nazioni più sociali e nelle migliori conversazioni. Da per tutto v’ha inconvenienti, da per tutto la società e l’uomo, considerato sì in se stesso e come individuo, sì come sociale, è imperfettissimo. Di più i suoi difetti e quelli della società e gl’inconvenienti di questa, presi generalmente e capo per capo all’ingrosso, sono da per tutto i medesimi, massime in questi tempi di grandissimo commercio d’ogni genere e quindi conformità fra le nazioni civili, anche le più distanti. È impossibile nominare o descrivere un difetto e un inconveniente proprio d’una nazione in generale, che non si trovi o al tutto uguale o con poca differenza e modificazione in ciascun’altra. Io non intendo dunque di attribuire all’Italia esclusivamente gl’incomodi che ho detti. Sono ben lontano dall’immaginarmi un mondo diverso e più bello del nostro né paesi remoti da’ miei occhi. In particolare poi, dovunque v’ha società, quivi l’uomo cerca sempre d’innalzarsi, in qualunque modo e con qualunque sia mezzo, colla depressione degli altri, e di far degli altri uno sgabello a se stesso (o trattisi di parole o di fatti), e l’amor proprio in nessun paese è scompagnato dall’avversione comunque sentita e dalla persecuzione comunque esercitata verso i propri simili, e massime verso quelli con cui si convive e che ci toccano più da presso o con gl’interessi o con l’uso quotidiano. E questo accade più che mai nei popoli civili, e oggi più che in qualunque altro tempo, essendo riconosciuto per caratteristico di questo secolo, e per necessaria conseguenza delle opinioni e dello stato presente dei popoli, quel genere di amor proprio che si chiama egoismo, il pessimo di tutti i generi. Ma oltre che le modificazioni dei difetti e inconvenienti umani e sociali possono essere differenti come ho detto, vi si dà anche il più e il meno, e di essi altro può esser dominante e principale in un luogo, ed altro in un altro. Quello dunque che io intendo di dire si è che gli accennati inconvenienti, per le cagioni e circostanze nostre specificate, sono maggiori qui che altrove, sono i dominanti in Italia, di peggior natura, più efficaci, più gravi, più estesi e frequenti e divulgati, più dannosi, più caratteristici e distinti nella nostra società e nella nostra vita che altrove…”.

2014-051 Gioacchino Rossini di cui Leopardi era ammiratore

Gioacchino Rossini, di cui Leopardi fu ammiratore

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