La peste ad Atene (II)

La peste ad Atene (II)

Per il primo articolo di “La peste ad Atene”, si può andare al link http://www.ilgrandeinquisitore.it/2020/03/la-peste-ad-atene-2/.
 

Spedizione di Atene contro Siracusa

Spedizione di Atene contro Siracusa

Prima di proseguire con la descrizione che Tucidide fa della peste, riportiamo come viene descritta la malattia da uno dei più noti manuali di Medicina Interna, attualmente usato attualmente nelle Università di tutto il mondo:
“…la peste è causata dallo Yersinia Pestis, uno dei più aggressivi batteri conosciuti… è caratterizzata dalla comparsa rapida della febbre e degli altri sintomi sistemici delle infezioni da batteri gram-negativi. Se non precocemente e correttamente trattata, evolve in setticemia, con shock, insufficienza multi-organo, e morte. Nella specie umana, tre sono le forme principali: bubbonica, setticemica, e pneumonica. La forma più frequente è la prima, ed è causata dalla puntura di una pulce infetta, ma può anche risultare dall’inoculazione diretta di tessuti o di fluidi infetti. Le forme setticemica e pneumonica-a loro volta-possono essere primarie, o secondarie a disseminazione metastatica, cioè da un sito anatomico a distanza. Altre forme secondarie includono-più raramente-quella meningitica; quella endo-oftalmica, e quella linfonodale pluridistrettuale.
La forma bubbonica ha un’incubazione di 2-6 giorni, e qualche volta anche superiore. Tipici sono i brividi, la febbre, con la temperatura che sale a 38°C e oltre; mialgie; artralgie; cefalea, e astenia. Entro le 24 ore, quindi molto presto, il Paziente avverte gonfiore e dolore in uno o più linfonodi prossimali al luogo dell’inoculazione del bacillo. Dal momento che le pulci pungono prevalentemente agli arti inferiori, i gonfiori concernono i linfonodi femorali. Il secondo sito anatomico più colpito sono le regioni cervicali e ascellari.  Il bubbone cresce e diventa sempre più dolente e gonfio; spesso, solo gonfio. Il Paziente tende a lamentarsi ad ogni manovra fatta sul/intorno al bubbone: palpazione, pressione, stiramento…Il bubbone pestilenziale è distinguibile da altre linfoadenomegalie (Staphylococcus aureus, o gli Streptococchi
ß-emolitici) per la sua rapida insorgenza e per il notevole gonfiore, i precoci segni della setticemia, e l’assenza dei segni di cellulite e linfangite …I Pazienti con peste in setticemia presentano spesso anche sintomi gastro-intestinali: nausea, vomito, diarrea, dolori addominali…Altre manifestazioni della forma grave sono…petecchie, ecchimosi, sanguinamento dalle sedi delle punture delle pulci e dagli orifizi, e gangrena (diffusa)…L’ipotensione refrattaria, l’insufficienza renale, l’ottundimento e gli altri segni dello shock sono eventi preterminali…Esiste una forma lieve della peste bubbonica, la cosiddetta “pestis minor”…I Pazienti sono ambulatoriali, moderatamente febbrili, con bubboni sub-acuti (“Harrison’s Principles of Internale Medicine”.
14th Edition: p. 977).

 

Tempio_dei_Dioscuri Agrigento

Tempio_dei_Dioscuri Agrigento

 

Tucidide, prima di descrivere la diffusione delle peste bubbonica ad Atene e nell’Attica, aveva fatto un’osservazione molto importante, anche per i nostri giorni, sui Medici di Atene che si ammalarono prima di tutti gli altri, dopo che la peste aveva fatto la sua  comparsa. Tutto è descritto nel Paragrafo 47 del Libro II, e la precisione narrativa dell’Autore rende superflua ogni chiosa, o commento:

Eufronio Spedizione Ateniese contro Siracusa (Museo del Louvre)

Eufronio Spedizione Ateniese contro Siracusa (Museo del Louvre)

47.“Così si celebrarono le esequie in questo inverno con cui si concludeva il primo anno di guerra. All’apparire dell’estate, Peloponnesi e alleati con un corpo di spedizione pari a due terzi delle milizie, come l’anno precedente, irruppero nell’Attica (li dirigeva Archidamo, figlio di Zeussidamo, re di Sparta), vi si istallarono e si davano a devastarne il territorio. Si trovavano in Attica da non molti giorni, quando prese a serpeggiare in Atene l’epidemia: anche in precedenti circostanze s’era diffusa la voce, ora qui ora là, che l’epidemia fosse esplosa, a Lemno, per esempio, e in altre località. Ma nessuna tradizione serba memoria, in nessun luogo, di un così selvaggio male e di una messe tanto ampia di morti. I medici nulla potevano, per fronteggiare questo morbo ignoto, che tentavano di curare per la prima volta. Ne erano anzi le vittime più frequenti, poiché con maggiore facilità si trovavano esposti ai contatti con i malati. Ogni altra scienza o arte umana non poteva lottare contro il contagio. Le suppliche rivolte agli altari, il ricorso agli oracoli e ad altri simili rimedi riuscirono completamente inefficaci: desistettero infine da ogni tentativo e giacquero, soverchiati dal male.


 

 

Busto di Archita, poeta e filosofo di Taranto, che fu in corrispondenza con Platone

Busto di Archita, poeta e filosofo di Taranto, che fu in corrispondenza con Platone

Ora proseguiamo e concludiamo con la descrizione che Tucidide fa della peste in Atene:
50. Il carattere di questo morbo trascende ogni possibilità descrittiva: non solo i suoi attacchi si rivelavano sempre più maligni di quanto le difese a disposizione della natura umana potessero tollerare, ma anche nel particolare seguente risultò che si trattava di un fenomeno morboso profondamente diverso dagli altri consueti: tutti gli uccelli e i quadrupedi che si cibano di cadaveri umani (molti giacevano allo scoperto) questa volta non si accostavano, ovvero morivano, dopo averne mangiato. Se ne ha una prova sicura poiché questa specie di volatili scomparve del tutto e non era più possibile notarli intenti al loro pasto macabro, né altrove. Ma indizi ancora più visibili della situazione erano offerti dal comportamento dei cani, per il loro costume di passar la vita tra gli uomini.

Epicuro

Epicuro

51. È questo il generale e complessivo quadro della malattia, sebbene sia stato costretto a tralasciare molti fenomeni e caratteri peculiari per cui ogni caso, anche se di poco, tendeva sempre a distinguersi dall’altro. Nessun’altra infermità di tipo comune insorse nel periodo in cui infuriava il contagio e in esso confluiva qualunque altro sintomo si manifestasse. I decessi si dovevano in parte alle cure molto precarie, ma anche un’assistenza assidua e precisa si rivelava inefficace. Non si riuscì a determinare, si può dire, neppure una sola linea terapeutica la cui applicazione risultasse universalmente positiva. (Un farmaco salutare in un caso, era nocivo in un altro). Nessuna complessione, di debole o vigorosa tempra, mostrò mai di possedere in sé energie bastanti a contrastare il morbo, che rapiva indifferentemente chiunque, anche quelli circondati dalle precauzioni più scrupolose. Nel complesso di dolorosi particolari che caratterizzavano questo flagello, uno s’imponeva, tristissimo: lo sgomento, da cui ci si lasciava cogliere, quando si faceva strada la certezza di aver contratto il contagio (la disperazione prostrava rapida lo spirito, sicché ci si esponeva molto più inermi all’attacco del morbo, con un cedimento immediato); inoltre la circostanza che, nel desiderio di scambiarsi cure ed aiuti, i rapporti reciproci s’intensificavano, e la gente moriva, come le pecore. Era questa la causa della enorme mortalità. Chi per paura rifiutava ogni contatto, periva solo. Famiglie al completo furono distrutte per mancanza di chi fosse disposto a curarle. Chi invece coltivava amicizie e relazioni, perdeva egualmente la vita: quelli in particolare che tenevano a far mostra di nobiltà di spirito. Mossi da rispetto umano, si recavano in visita dagli amici, disprezzando il pericolo, quando perfino gli intimi trascuravano la pratica del lamento funebre sui propri congiunti, abbattuti e vinti sotto la sferza del la calamità. Una compassione più viva, su un morto o verso un malato, dimostravano quelli che ne erano scampati vivi: conoscevano di persona l’intensità del soffrire e si facevano forti d’un sentimento di sicurezza. Il male non aggrediva mai due volte: o, almeno l’eventuale ricaduta non era letale. Erano giudicati felici dagli altri e nella eccitata commozione di un momento si abbandonavano alla speranza, illusoria e incerta, che anche in futuro nessuna malattia si sarebbe più impossessata di loro, strappandoli a questo mondo.

 Siracusa_e_il_Mediterraneo

Siracusa_e_il_Mediterraneo

52.L’imperversare dell’epidemia era reso più insopportabile dal continuo afflusso di contadini alla città: la prova più dolorosa colpiva gli sfollati. Poiché non disponevano di abitazioni adatte e vivevano in baracche soffocanti per quella stagione dell’anno: il contagio mieteva vittime con furia disordinata. I cadaveri giacevano a mucchi e tra essi, alla rinfusa, alcuni ancora in agonia. Per le strade si voltolavano strisciando uomini già prossimi a morire, disperatamente tesi alle fontane, pazzi di sete. I santuari che avevano offerto 114 Senecio: Classici Latini e Greci una sistemazione provvisoria, erano colmi di morti: individui che erano spirati lì dentro, uno dopo l’altro. La violenza selvaggia del morbo aveva come spezzato i freni morali degli uomini che, preda di un destino ignoto, non si attenevano più alle leggi divine e alle norme di pietà umana. Le pie usanze che fino a quell’epoca avevano regolato le esequie funebri caddero travolte in abbandono. Ciascuno seppelliva come poteva. Molti si ridussero a funerali indecorosi per la scarsità di arredi necessari, causata dal grande numero di morti che avevano già avuto in famiglia: deponevano il cadavere del proprio congiunto su pire preparate per altri e vi appiccicavano la fiamma prima che i proprietari vi facessero ritorno, mentre altri gettavano sul rogo già acceso per un altro il proprio morto, allontanandosi subito dopo.

Archimede, illustre Siracusano, dimostra il teorema della leva che solleva una nave

Archimede, illustre Siracusano, dimostra il teorema della leva che solleva una nave
‘Archimedes wendet den Hebel zur Bewegung eines Schiffes an’
Archimedes, griech. Mathematiker und
Physiker; um 285 – 212 v.Chr. / ‘Archi-
medes wendet den Hebel zur Bewegung
eines Schiffes an’. (Flaschenzug beim
Stapellauf der Syrakosia in Syrakus).
Holzstich, unbez., spätere Kolorierung.
Aus: Hermann Göll, Die Weisen und Ge-
lehrten des Alterthums, 2.Aufl. Leipzig
(Otto Spamer) 1876, S.181.
Berlin, Slg.Archiv f.Kunst & Geschichte.
E:
‘Archimedes uses a lever to move a ship’
Archimedes, Greek mathematician and
physicist; c.285 – 212 BC.
– ‘Archimedes uses a lever to move a
ship’. (Pulley used at the launching of
the ship Syrakosia in Syracuse).
Woodcut, unsigned, colour added later.
From: Hermann Göll, Die Weisen und Ge-
lehrten des Alterthums, 2nd ed. Leipzig
(Otto Spamer) 1876, p.181.
Coll. Archiv f.Kunst & Geschichte.

53. Anche in campi diversi, l’epidemia travolse in più punti gli argini della legalità fino allora vigente nella vita cittadina. Si scatenarono dilagando impulsi prima lungamente repressi, alla vista di mutamenti di fortuna inaspettati e fulminei: decessi improvvisi di persone facoltose, gente povera da sempre che ora, in un batter di ciglia, si ritrovava ricca di inattese eredità. Considerando ormai la vita e il denaro come valori di passaggio, bramavano godimenti e piaceri che s’esaurissero in fretta, in soddisfazioni rapide e concrete. Nessuno si sentiva trasportare dallo zelo di impegnare con anticipo energie in qualche impresa ritenuta degna, nel dubbio che la morte giungesse a folgorarlo, a mezzo del cammino. L’immediato piacere e qualsiasi espediente atto a procurarlo costituivano gli unici beni considerati onesti e utili. Nessun freno di pietà divina o di umana regola: rispetto e sacrilegio non si distinguevano, da parte di chi assisteva al quotidiano spettacolo di una morte che colpiva senza distinzione, ciecamente. Inoltre, nessuno concepiva il serio timore di arrivar vivo a rendere conto alla giustizia dei propri crimini. Avvertivano sospesa sul loro capo una condanna ben più pesante: e prima che s’abbattesse, era umano cercare di goder qualche po’ della vita.

 

 Pindaro_esalta_un_vincitore_nei_giochi_olimpici_-_Giuseppe_Sciuti

Pindaro_esalta_un_vincitore_nei_giochi_olimpici_-_Giuseppe_Sciuti

54. Tale flagello aveva prostrato Atene, imponendovi il suo giogo. Dentro le mura cadevano le vittime del contagio; fuori, le campagne subivano la devastazione nemica. Venne naturalmente alla luce, mentre il morbo incrudeliva, la memoria di quell’oracolo che, a detta dei più anziani, risaliva a tempi molto antichi: «Verrà la guerra Dorica e pestilenza con essa.» Si discusse se gli antichi avessero veramente pronunciato nel testo di quell’oracolo l’espressione «pestilenza» e non piuttosto «carestia». Prevalse, come ci si può ragionevolmente aspettare, considerate le circostanze, l’interpretazione secondo cui nel testo suddetto compariva la parola pestilenza, in quanto la gente configurava il suo ricordo alle presenti sofferenze. Ma io sono convinto che se i Dori, successiva a questa, scatenassero un’altra guerra ed esplodesse una carestia prevarrebbe allora l’altra interpretazione, come è del resto naturale. Inoltre, quanti ne erano al corrente, rammentarono l’altro oracolo riguardante gli Spartani, quello espresso dal dio in occasione della loro richiesta se dovessero dichiarare la guerra, con la risposta che la vittoria avrebbe arriso a loro, se s’impegnavano a fondo nei combattimenti, e con la promessa di un aiuto particolare del dio. Si congetturava che gli eventi coincidevano con le parole dell’oracolo: l’invasione dei Peloponnesi aveva segnato l’esplosione immediata dell’epidemia, che non era invece penetrata nel Peloponneso, almeno con conseguenze degne di menzione. Invase soprattutto Atene e, in un processo di tempo, anche le fasce più popolose delle altre regioni. Questo è quanto concerne l’epidemia. (Tucidide:”La guerra del Peloponneso”; II:47-48-54).

 

Mosaico_Alcibiade

Mosaico_Alcibiade

Per concludere, l’Autore nomina espressamente la peste nel libro I:23 (λοιμώδης νόσoσ=la malattia pestilenziale): definizione e diagnosi per i posteri.

Busto di Pericle

Busto di Pericle

Fine

 

2 thoughts on “La peste ad Atene (II)

  1. Paolo
    21 aprile 2020 at 10:48

    Eccezionale descrizione

    1. Vito Patella
      27 aprile 2020 at 15:32

      Grazie. Tucidide descrisse la peste, e il terrore per la peste.

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