Verità e Tempo (II)

Verità e Tempo (II)

Non possiamo andare al nostro Bar dei Filosofi per le limitazioni imposte dalla pandemia, e così ci incontriamo in chat, su una delle tante (e ottime) piattaforme online disponibili. Ne avevamo già scritto (http://www.ilgrandeinquisitore.it/2021/01/verita-e-tempo-i/) su questo Blog. Ora passiamo al II Capitolo di questa serie.
Nel I Capitolo avevamo detto della ricerca fatta da Schopenauer (il nostro!) sulle “Cento Headlines” (Notizie Principali) dei media degli ultimi 6 mesi del 2020, e che l’unica notizia infine confermata riguardava il trasferimento dei Duchi di Essex (Harry & Meghan) a Los Angeles, California.
I giornali, e i media in genere, dovrebbero informare, e l’utente dovrebbe farsi un’opinione in base all’informazione ricevuta. Invece, i media di oggi tendono a formare, cioè a indirizzare e ad influenzare l’utente, non lasciandogli libertà di scelta, e quindi di pensiero. Quando fanno ciò, i media non informano, ma disinformano
Così ci siamo divertiti ad immaginare come i media di oggi presenterebbero alcuni importanti eventi accaduti nel passato:

Passare il Rubicone

Passare il Rubicone

 

  1. I) “Il Senato delibera di respingere una Candidatura alla carica di Console. Il Candidato denuncia brogli e scatena la rivolta, dirigendosi minaccioso ed armato verso la sede del Senato”

    Ponte sul Rubicone

    Ponte sul Rubicone

    Sembra la cronaca di fatti accaduti nel mondo nelle ultime settimane, ma non è così, perché i fatti sono avvenuti un po’ prima! Ma quali sono questi fatti?!
    Siamo all’inizio dell’anno 49 a.C., nella Gallia Cisalpina, e precisamente nei pressi dell’attuale città di Cervia. Svetonio descrive questa vicenda:

    De Bello Gallico

    De Bello Gallico

    Cunctanti ostentum tale factum est. Quidam eximia magnitudine et forma in proximo sedens repente apparuit harundine canens; ad quem audiendum cum praeter pastores plurimi etiam ex stationibus milites concurrissent interque eos et aeneatores, rapta ab uno tuba prosilivit ad flumen et ingenti spiritu classicum exorsus pertendit ad alteram ripam. Tunc Caesar: ‘eatur,’ inquit, ‘quo deorum ostenta et inimicorum iniquitas vocat.

     Gallia I a.C.

    Gallia I a.C.


     (A lui esitante si presentò un segno prodigioso. Seduto accanto, apparve all’improvviso un uomo di straordinaria bellezza e di corporatura atletica. Egli cantava suonando il flauto di esimia bravura e bellezza, che sedeva lì vicino suonando il flauto. Essendo accorsi per ascoltarlo molti pastori e anche soldati della guarnigione, tra cui anche dei trombettieri, ad uno di essi egli sottrasse la tromba, si diresse verso il fiume. Qui egli con grande forza intonò una marcia militare e si diresse all’altra riva. Allora Cesare disse:” Andiamo dove i prodigi degli Dei e l’iniquità dei nemici indicano. Il dado è tratto).

    La conquista della Britannia

    La conquista della Britannia

    Cesare stesso si definisce “cunctans” (esitante), perché si trovava in una posizione difficile e rischiosa: qualunque decisione avesse preso, rischiava di sbagliare, forse in maniera irreparabile: fine della carriera politica, e forse della vita stessa!

    De Bello Gallico (Mappa)

    De Bello Gallico (Mappa)

Quale decisione prendere, dunque?

II) Ecco cosa scrive il sommo Plutarco:
31.1] πεὶ δὲ παρὰ Καίσαρος ἧκον πιστολαὶ μετριάζειν δοκοῦντος ἠξίου γὰρ ἀφεὶς τὰ ἄλλα πάντα τὴν ἐντὸς Ἄλπεων καὶ τὸ Ἰλλυρικὸν μετὰ δυεῖν ταγμάτων αὐτῷ δοθῆναι, μέχρι οὗ τὴν δευτέραν πατείαν μέτεισι, καὶ Κικέρων ῥήτωρ ἄρτι παρὼν ἐκ Κιλικίας καὶ διαλλαγὰς πράττων μάλαττε τὸν Πομπήϊον, δὲ τἆλλα συγχωρῶν τοὺς στρατιώτας ἀφῄρει. καὶ Κικέρων μὲν πειθε τοὺς Καίσαρος φίλους συνενδόντας π ταῖς εἰρημέναις παρχίαις καὶ στρατιώταις μόνοις ἑξακισχιλίοις ποιεῖσθαι τὰς διαλύσεις,
[2]
Πομπηΐου δὲ καμπτομένου καὶ διδόντος οἱ περὶ Λέντλον οὐκ εἴων πατεύοντες, ἀλλὰ καὶ τῆς βουλῆς Ἀντώνιον καὶ Κουρίωνα προπηλακίσαντες ἐξήλασαν ἀτίμως, τὴν εὐπρεπεστάτην Καίσαρι τῶν προφάσεων αὐτοὶ μηχανησάμενοι, καὶ δι᾽ ἧς μάλιστα τοὺς στρατιώτας παρώξυνεν, πιδεικνύμενος ἄνδρας ἐλλογίμους καὶ ἄρχοντας π μισθίων ζευγῶν πεφευγότας ἐν ἐσθῆσιν οἰκετικαῖς. οὕτω γὰρ π Ῥώμης σκευάσαντες ἑαυτοὺς διὰ φόβον πεξῄεσαν.
[32.1]
ἦσαν μὲν οὖν περὶ αὐτὸν οὐ πλείους ππέων τριακοσίων καὶ πεντακισχιλίων πλιτῶν τὸ γὰρ ἄλλο στράτευμα πέραν Ἄλπεων πολελειμμένον μελλον ἄξειν οἱ πεμφθέντες. ὁρῶν δὲ τὴν ἀρχὴν ὧν ἐνίστατο πραγμάτων καὶ τὴν ἔφοδον οὐ πολυχειρίας δεομένην ἐν τῷ παρόντι μᾶλλον θάμβει τε τόλμης καὶ τάχει καιροῦ καταληπτέαν οὖσαν,
[2]
ἐκπλήξειν γὰρ πιστούμενος ῥᾷον βιάσεσθαι μετὰ παρασκευῆς πελθών, τοὺς μὲν ἡγεμόνας καὶ ταξιάρχους ἐκέλευσε μαχαίρας ἔχοντας ἄνευ τῶν ἄλλων πλων κατασχεῖν Ἀρίμινον τῆς Κελτικῆς μεγάλην πόλιν, ὡς ἐνδέχεται μάλιστα φεισαμένους φόνου καὶ ταραχῆς Ὁρτησίῳ δὲ τὴν δύναμιν παρέδωκεν.
[3]
αὐτὸς δὲ τὴν μὲν μέραν διῆγεν ἐν φανερῷ μονομάχοις ἐφεστὼς γυμναζομένοις καὶ θεώμενος μικρὸν δὲ πρὸ ἑσπέρας θεραπεύσας τὸ σῶμα καὶ παρελθὼν εἰς τὸν ἀνδρῶνα καὶ συγγενόμενος βραχέα τοῖς παρακεκλημένοις π τὸ δεῖπνον, ἤδη συσκοτάζοντος ἐξανέστη, τοὺς μὲν ἄλλους φιλοφρονηθεὶς καὶ κελεύσας περιμένειν αὐτὸν ὡς πανελευσόμενον, ὀλίγοις δὲ τῶν φίλων προείρητο μ κατὰ τὸ αὐτὸ πάντας, ἄλλον δὲ ἄλλῃ διώκειν.
[4]
αὐτὸς δὲ τῶν μισθίων ζευγῶν πιβὰς ἑνός ἤλαυνεν ἑτέραν τινὰ πρῶτον ὁδόν, εἶτα πρὸς τὸ Ἀρίμινον πιστρέψας, ὡς ἦλθεν π τὸν διορίζοντα τὴν ἐντὸς Ἄλπεων Γαλατίαν π τῆς ἄλλης Ἰταλίας ποταμὸν Ῥουβίκων καλεῖται, καὶ λογισμὸς αὐτὸν εἰσῄει μᾶλλον ἐγγίζοντα τῷ δεινῷ καὶ περιφερόμενον τῷ μεγέθει τῶν τολμωμένων,
[5]
ἔσχετο δρόμου καὶ τὴν πορείαν πιστήσας πολλὰ μὲν αὐτὸς ἐν ἑαυτῷ διήνεγκε σιγῇ τὴν γνώμην π μφότερα μεταλαμβάνων, καὶ τροπὰς ἔσχεν αὐτῷ τότε τὸ βούλευμα πλείστας πολλὰ δὲ καὶ τῶν φίλων τοῖς παροῦσιν, ὧν ἦν καὶ Πολλίων Ἀσίννιος, συνδιηπόρησεν, ἀναλογιζόμενος ἡλίκων κακῶν ἄρξει πᾶσιν ἀνθρώποις διάβασις, ὅσον τε λόγον αὐτῆς τοῖς αὖθις πολείψουσι.
[6]
τέλος δὲ μετὰ θυμοῦ τινος ὥσπερ ἀφεὶς ἑαυτὸν ἐκ τοῦ λογισμοῦ πρὸς τὸ μέλλον, καὶ τοῦτο δὴ τὸ κοινὸν τοῖς εἰς τύχας μβαίνουσιν πόρους καὶ τόλμας προοίμιον πειπὼν, Ἀνερρίφθω κύβος, ὥρμησε πρὸς τὴν διάβασιν καὶ δρόμ τὸ λοιπὸν ἤδη χρώμενος εἰσέπεσε πρὸ μέρας εἰς τὸ Ἀρίμινον καὶ κατέσχε.

La Gallia ai tempi di Cesare

La Gallia ai tempi di Cesare


(Con la morte di Crasso a Carrhae <Carre: il 9 giugno dell’anno 53 a.C. ;oggi HarranTurchia>veniva a mancare l’elemento più debole del triumvirato, ma anche colui che, con trame, intrighi e soprattutto con il denaro, ne aveva garantito la coesione. Dopo i disordini seguiti alla morte di Clodio, Pompeo era di nuovo il “beniamino” del Senato con legittimi poteri proconsolari (per il governo della Spagna) e consolari, per il suo incarico straordinario di console unico. Oltre a promuovere leggi che mettessero fine alle violenze, Pompeo fece in modo di prorogare il suo incarico in Spagna per altri cinque anni. In quel periodo ogni conversazione in ogni casa romana doveva probabilmente includere due domande: la prima «cosa farà Cesare?» e la seconda «quando scade il suo mandato nelle Gallie?». A quest’ultima domanda non sembra vi fosse, anche per i contemporanei, una risposta sicura. Dopo l’accordo di Lucca, nel 55, si erano aggiunti per Cesare altri cinque anni, ma l’esatta data di scadenza del mandato dipendeva in concreto dalla data della seduta di delibera del nuovo governatore. La legge prevedeva che i consoli potessero occupare le province assegnate solo al termine della magistratura, così è verosimile che Cesare contasse su una proroga di un anno fino all’arrivo dei successori, vale a dire la fine del 49. Un’altra legge stabiliva un intervallo di dieci anni per ripresentare la propria candidatura al consolato e Cesare, console nel 59, aveva dunque le carte in regola per partecipare alle elezioni. Perciò, chiese e ottenne il permesso di presentare la propria candidatura anche assente da Roma. A questo punto si aprì il conflitto, al principio a colpi di armi politiche. Per limitare brogli e traffici oscuri, una norma del 53 prevedeva che i magistrati dovessero attendere cinque anni dopo lo scadere della legislatura per ottenere un governo provinciale. Pompeo fece sì che la norma divenisse legge: in questo modo le Gallie potevano essere assegnate già dal principio del 49 a consoli dimessi. Cesare perdeva quasi un anno di libertà d’azione con poteri straordinari. Tutto l’anno 50 fu dominato da mediazioni e discussioni senza che si arrivasse ad alcuna soluzione. Pompeo chiedeva invano a Cesare la restituzione di una legione, con la scusa della minaccia partica; Cesare mandava a dire che avrebbe lasciato il governo provinciale solo se Pompeo avesse rinunciato contemporaneamente al proprio. Il primo gennaio del 49 Curione, già tribuno della plebe e fedele a Cesare, portò in Senato una lettera del generale dove veniva ribadita la stessa proposta di rinuncia contemporanea. Nonostante i tentativi di Marco Antonio, allora tribuno, si arrivò a una decisione gravida di sangue: Cesare doveva lasciare le sue province entro il 1° marzo del 49, altrimenti sarebbe stato dichiarato nemico pubblico. Il 7 gennaio fu designato un nuovo governatore delle Gallie e gli amici di Cesare si affrettarono a lasciare la città. Raggiunto a Ravenna dai tribuni e avuto il quadro della situazione, prima ancora di avere una notifica ufficiale, Cesare ordinò a un distaccamento dell’unica legione disponibile in Italia (la XIII) di passare il Rubicone. Oltrepassare in armi il Rubicone, che segnava il confine tra l’Italia e la Gallia Cisalpina, equivaleva a una dichiarazione di guerra.
(Plutarco: Vita di Pompeo; 60:4)

 Mondo_romano_nel_56_aC_al_tempo_del_primo_triumvirato

Mondo_romano_nel_56_aC_al_tempo_del_primo_triumvirato

 

 

III) Cesare parla in Greco!
Ἑλληνιστὶ πρὸς τοὺς παρόντας ἐκβοήσας, “Ἀνερρίφθω κύβος,” διεβίβαζε τὸν στρατόν.
“Egli (Cesare) dichiarò in greco a gran voce per i presenti:<Sia lanciato il dado>, e guidò l’esercito” (Plutarco: Vita di Pompeo; 60:4)

 

Busto di un cittadino romano sconosciuto del I secolo a.C.

Busto di un cittadino romano sconosciuto del I secolo a.C.

Marco Tullio  Cicerone

Marco Tullio Cicerone

 

Alla fine del 50 a.C.,  il Senato di Roma ordinò a Cesare di sciogliere l’esercito; dimettersi da tutte le cariche occupate  nella Gallia Cisalpina; e fare ritorno-disarmato- a Roma. Cesare temé un complotto ai propri danni, consistente nel:1) mettere fuori legge il partito dei populares che egli rappresentava; 2) uccidere lo stesso Cesare. Egli perciò si oppose all’ordine del Senato, e rimase accampato con la Legio XII (Gemina) nella provincia che gli era stata assegnata, non distante dalla odierna Cervia. L’esercito, fedele a Cesare perché da lui dipendeva il pagamento del “soldo”, rimase compatto agli ordini del generale. Solo il suo vice, Tito Labieno, disertò e si schierò con la Repubblica romana. Per sicurezza, Cesare fece presidiare la riva settentrionale del Rubicone, ma non correva sostanziali pericoli, in quanto, in Italia, il Senato poteva schierare due sole legioni.Giulio Cesare attraversò il Rubicone nelle prime ore del 10 gennaio 49 a.C. alla testa del suo esercito, composto dalla Legio XIII Gemina (per un totale di circa 5.000 uomini e 300 cavalieri), al ritorno dalla Gallia, ed essendo penetrato in armi nel territorio di Roma, manifestò in tal modo la sua ribellione allo stato romano: secondo il racconto di Svetonio, prima di risolversi a questo passo sembra che abbia esitato e infine abbia preso la sua decisione esclamando una frase in greco antico (“anerrìphtho kybos”).Dopo aspri dissensi con il Senato, Cesare varcò in armi il fiume Rubicone, che segnava il confine tra la provincia della Gallia Cisalpina e il territorio dell’Italia.  Il Senato, nominato Pompeo “Console Unico” con pieni poteri, dichiarò Cesare “nemico della Repubblica” (49 a.C.).Dopo alterne vicende, i due contendenti si affrontarono a Farsalo, dove Cesare sconfisse irreparabilmente il rivale. Pompeo cercò quindi rifugio in Egitto, ma lì fu ucciso (48 a.C.). Anche Cesare si recò perciò in Egitto, e lì rimase coinvolto nella contesa dinastica scoppiata tra Cleopatra VII e il fratello Tolomeo XIII: risolta la situazione, riprese la guerra, e sconfisse il re del Ponto Farnace II a Zela (47 a.C.). Partì dunque per l’Africa, dove i pompeiani si erano riorganizzati sotto il comando di Catone, e li sconfisse a Tapso (46 a.C.). I superstiti trovarono rifugio in Spagna, dove Cesare li raggiunse e li sconfisse, questa volta definitivamente, a Munda (45 a.C.).Questa guerra civile aprì la strada alla fine della Roma repubblicana, a cui sarà dato il colpo di grazia con la successiva guerra civile tra Ottaviano e Marco Antonio (terminata con la battaglia di Azio del 31 a.C.).

IV) Conclusione:
Abbiamo descritto come l’informazione (i mitici “Media”) possa  non “informare”, ma deformare,  e abbiamo immaginato come i media di oggi avrebbero dato la notizia della sfida di Gaio Giulio Cesare al Senato di Roma nel 50-49 a.C..
Noi sappiamo come andarono le cose dal racconto che ne fa Plutarco (vedi sopra). Cosa avremmo capito se a raccontarcelo fossero stati i media “disinformativi” di oggi?
Nel prossimo capitolo ci occuperemo della comicità di “Stanlio e Ollio”, su cui ci ha intrattenuto l’idraulico (pensionato) Petronio, appassionato ed esperto di Cinema, e di altri argomenti.
                                           Fine II Parte

Continua

Passare il Rubicone

Passare il Rubicone

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